sabato 12 dicembre 2015

Uno stagno di felici pesci rossi

L'immagine é bene impressa nei ricordi: sto sfogliando un grosso e pesante numero della rivista americana Preview; probabilmente é quella dell'amico Miha, che di solito la prendeva alla fumetteria di Gorizia di Gianpaolo. E qui rispondo al Chi, Cosa e al Dove. E posso dedurre anche il Quando, visto che quel negozio ha chiuso nel 2011.
Quanto al Perché non é difficile da intuire: la mia era la semplice curiosità di sapere cosa stesse uscendo di fumettistico al di là dell'oceano. Se eri (e lo sei tutt'ora) un'appassionato, la curiosità l'avevi di default. Perché oltre alla Marvel uscivano centinaia di altri fumetti, e quindi valeva sempre la pena di guardare, hai visto mai trovassi qualcosa di interessante.
Oh, era tanta roba, centinaia di pagine e in ogni pagina una decina e oltre di nuove uscite. E ogni mese un numero nuovo. Nuovi fumetti uscivano continuamente, senza fine; di ogni tipo, formato e genere, per tutti i gusti, da Superman a MyMiniPony. Piú o meno il pensiero era lo stesso: buona parte del materiale Marvel l'avresti visto quasi certamente in italiano nei mesi a venire; parte del materiale DC avrebbe diviso quel destino, ma del materiale degli altri editori poco altro.
Per cui talvolta si ordinava in fumetteria una piccola parte di quel materiale che dubitavi di vedere tradotto. E colmavi quella lacuna.

Cosí tutti eravamo felici, piú o meno.
Poi, col tempo, qualcosa cambió, come sempre accade.

Okay, senza fumetteria, niente Miha che prende il preview, ma comunque ogni tanto ti capitava tra le mani un numero di Anteprima, e curiosavi. Sempre molte le uscite indipendenti americane, come sempre...
Ma ora cominciavi a trovare quelle novità anche in italiano. Dapprima Conan (ma te lo dovevi aspettare, e comunque edíto da Panini), ma poi anche il resto. E tra di loro capitavano anche quelle che fino a ieri avresti giudicato "improponibili". E non ci giurerei che tra loro non ci fosse anche MyMiniPony...

Oh, non i singoli numeri da 20 pagine, ma i Paperback che raccoglievano i cicli di storie o le miniserie. Rigorosamente identici in tutto ai Paperback originali, ma in italiano. Eccome se li trovavi. 

L'ultima visita nella fumetteria di Monfalcone (di Gianpaolo, cosa faremmo senza...) vidi la zona dedicata ai comics americani strapiena di titoli. Ed erano diversi da quelli visti due mesi prima, ora finiti sugli scaffali, visibili solo per le loro costoline colorate. E guardando i loro titoli realizzai che erano davvero... tanti. Ma non dovevi meravigliarti, tutte quelle uscite erano state annunciate regolarmente su Anteprima.


Tutto chiaro fino a qui?

Bene. Adesso concentratevi per un istante e provate ad immaginare tutte queste uscite; adesso aggiungete tutte le uscite manga mensili (oltre il centinaio), e poi i volumi francesi, Bonelli e bonellidi, tutte le ristampe che escono abbinate ai quotidiani, più qualsiasi altra cosa io abbia dimenticato. Visualizzatele tutte insieme.

Bene. Ora vi chiedo di ricordate il luogo comune fumettistico (ma dannatamente vero) del momento: "Le vendite dei fumetti oggi sono molto in crisi".
Adesso cercate di andare indietro con la memoria: pensate all'edicola nel 1990, periodo del 'boom' di vendite, tra Bonelli, Star Comics, Play Press, Granata Press e Comic Art (e tutti quelli che dimentico). Comunque la si guardi, l'offerta era minore.
Bene, fine della riflessione, ognuno tragga le sue risposte.

Non so voi, ma io ogni tanto ho delle immagini mentali, dei fotogrammi che abbino a pensieri o situazioni di cui sono testimone.
In una di queste immagini vedo uno stagno abbastanza grande, in un posto paradisiaco: sole, uccellini, coniglietti che saltellano e così via. Una dolce brezza rinfresca il tutto. Nello stagno nuotano e prosperano tanti bei pesci rossi, felici nel loro stagno.
Attorno a questo paradiso ci sono dieci pescatori, con la loro brava canna e le esche sul cappello, che pescano tranquilli, seduti comodi; ognuno in una sua zona speciale e tutti, chi più e chi meno, fanno una pesca soddisfacente. 
Naturalmente dopo ributtano i pesciolini in acqua, liberi di continuare la loro vita felice e di abboccare ad altre lenze.

Ora immaginate questo paradiso vent'anni dopo, più o meno oggi. Sempre il sole e gli uccellini e la brezza, ma lo stagno si é ridotto, ma é pur sempre pieno di felici pesci rossi. 
Ma questa volta i pescatori sono cinquanta. Sono vicini, riempiono quasi ogni riva di quel paradiso. Alcuni hanno le loro solite canne, ma qualcuno si é portato delle reti, altri hanno delle lenze speciali studiate da esperti del campo.
Tutti loro stanno pescando, ma non sono molto soddisfatti: la loro pesca é modesta, si osservano l'un l'altro, per vedere quanti pesci hanno preso i vicini, e un po' di invidia traspare. E qualcuno dopo la pesca non li ributta nemmeno in acqua.

Io lo so, perché sono lì, davanti a tutti loro; sono uno di quei rossi pesci felici. Li osservo i pescatori: li vedo spingersi tra loro, conto tutte le loro canne, e li sento dire che una volta si pescava meglio. Osservo le loro esche sofisticate, le mosche artificiali, le reti e le trappole a ultrasuoni. E provo indifferenza e disinteresse. O forse sono solo sazio... magari ho anche un po' di nostalgia per la vecchia lenza classica col vermicello, perché no? E mentre penso al mio ruolo di pesce in questo stagno, mi chiedo perché nessuno di quei pescatori pensi a ingrandire lo stagno, e aggiungere anche felici pesciolini verdi o blu.
Mentre penso a tutto questo vedo alcuni pesci, sempre gli stessi, gettarsi famelici contro quelle golose lenze; mentre altri si dirigono verso il centro dello stagno, lontani da pescatori e prelibatezze esotiche. Alieni a tutto questo.

I pesci rossi son fatti in questo modo, cosa volete farci? Mutevoli, contraddittori, inaffidabili sulle lunghe distanze.
Ma d'altronde se non fossimo così, forse non saremmo nemmeno felici.

sabato 28 novembre 2015

Il duro lavoro del sognatore



"La città vera e propria iniziava da via Santa Chiara, dopo il ponte sopra la valletta del Corno. Da lì, guardando in lontananza verso viale XX settembre e oltre, verso il fiume Isonzo fuori vista in fondo, era tutto differente.  
Predominava il tono marrone, in tutte le sue tonalità, forse anche per via dell'autunno, ma sicuramente per la terra bruna e i suoi sassi, interrotti da cespugli di rovi disseminati lungo i lati della strada, ora diventata sentiero, e fino a perdita d'occhio. Un po' come le strade di campagna lungo l'Isonzo, se ti incammini in direzione di Salcano.
In lontananza potevi vedere degli alberi, in corrispondenza del parco Coronnini a destra, e il boschetto della valletta sull'altro lato, ma non quelli di oggi: questi parevano tornati ad uno stato selvaggio, come se fate ed elfi avessero ripreso possesso delle loro antiche proprietà.

Di tutti gli alberi del viale, ne rimaneva uno solo, sulla destra del sentiero, ma enorme. Non era uno degli usuali ippocastani, ma piuttosto una quercia nodosa, bassa, larga di base e con grossi rami spioventi in ogni direzione, e irregolarmente simmetrica in alto. Si trovava a circa ad un centinaio di metri da te, poche foglie alle estremità dei rami più sottili. Oltre puoi solo intuire che ce ne siano anche altri, fino a chissà dove. Un po' come in un celebre paesaggio di Renoir, ma questa volta monocolore.
L'erba bruna irregolare ricopriva la superficie che tu ricordavi come marciapiedi, per cui pensandoci ora sei combattuto se questo sia stato il risultato di un dopobomba o un'apocalisse zombie, e non piuttosto un ritorno all'era paleolitica. Diresti la prima, ma l'assenza totale dei lampioni o dei loro scheletri ti convince della seconda.

Oltre il ponte, venendo da dove ti trovavi tu, nulla pareva cambiato, ma meglio non farci troppo affidamento, visto che tu eri anche in piedi e senza bastone. Ma non eri preoccupato di quello che vedi, quanto piuttosto indifferente a quel paesaggio mutato, e questo faceva parte della logica dei sogni."

Adesso lo sai, hai capito che é stato un sogno che hai fatto qualche notte addietro; uno di quelli che fai spesso, con posti impossibili e gente improbabile, in cui cammini senza aiuti esterni (e ti pareva se era vero), fai e dici cose assurde, vai in giro e ti perdi da qualche parte (una costante...). Era il Viale, strada che conosci molto bene, che osservavi da oltre il ponte. Lo avresti percorso, nel sogno lo hai fatto di sicuro, mentre vedevi gente e facevi cose.
Chiaramente la scena si svolgeva nella mia città, quindi é molto probabile che se leggete tutto questo e non conoscete Gorizia, i miei riferimenti non vi aiutino. Pazienza. Tu stesso comunque non ricordi nulla, perché lo hai scordato, come sempre.
Li hai tutti scordati i tuoi sogni, subito appena aprivi gli occhi. Solo talvolta ricordavi qualcosa, almeno per qualche minuto: una persona, un'azione, o un posto, come oggi. Ma appena volgevi lo sguardo su qualcosa di reale, tutto il resto svaniva.

Se dopo ore e giorni ancora lo rammenti, qualcosa forse lo devi fare.
Quindi ti fai un appunto, e poi ci pensi sopra. Un solitario soliloquio, un silenzioso dibattito tra te stesso e te. Oppure, se l'immagine é così nitida, cerchi di disegnarla. E se non puoi disegnarla (fanqulo) perché la mano non ce la fa proprio a seguire il tuo volere, allora provi a descriverla a parole, come se la stessi disegnando.
Se la tua mente lo considera importante, non puoi ignorarlo.

Bene. E ora che lo hai fatto, che accade?
Puoi riflettere, per esempio. Cerchi qualche altra valida spiegazione, per motivare il tempo che gli hai dedicato fino ad ora.
Forse il segnale della mente non é il sogno in se stesso. Mi piace pensare che qualche parte del mio inconscio voglia che io sia cosciente di poter sognare. E non é poca cosa.
Fino a che continuo a sognare vuol dire che esisto. Che continuo a occupare ancora un posto in questo puntino blu che chiamiamo mondo, e me lo tengo stretto.
E questo é sempre importante.

lunedì 2 novembre 2015

Casualità, al piano zero

Qualcuno mi a fottuto. Lo so.
Mi ha rifilato un bidone, ma bello grosso.
Non so quando sia avvenuto, o come si sia sviluppata la transazione, o quale sia stata l'offerta che mi ha convinto. Quello che é sicuro é che é accaduto. Fidatevi.
Un giorno del mio passato, un abile venditore di fumo deve avermi ingannato. Non posso averne la certezza perché quello non ero io: era l'originale, il vero Jack. In fondo é tutta colpa sua. O mia, visto che siamo/eravamo a stessa persona. Ma poi abbiamo preso strade differenti.
Oggi lui é da qualche parte, a spassarsela, e sinceramente non posso fargliene una colpa. Ad un certo momento é possibile che ti stufi: quando vedi accadere solo sfighe di vario genere, vieni dimenticato dalla fortuna, dagli affetti e dal resto. Quando ricevi troppi due di picche. E ad un certo punto ne hai davvero le palle piene. Oh, tranquilli, da fuori non potevate accorgervene. Sono sempre stato bravo ad apparire positivo, a non lasciare trasparire rancori o fastidi. "Testa bassa e non attaccar briga" é uno di quegli insegnamenti cretini che ti inculcano da piccolo. "Se sei onesto  corretto, prima o poi verrai premiato." Salvo poi vedere di continuo che vincono sempre i furbi e i ruffiani. Eh, ad un certo punto raggiungi i tuoi limiti.

Per cui ecco che un giorno devo essermi stufato.
E in quel momento é arrivato questo venditore: ti offre di cambiare. Tutto. Di lasciare questa vita e di ricominciare altrove. Nuova identità, in un posto lontano, pieno di nuove opportunità.
La cosa ti tenta. Ma come puoi mollare davvero tutto? 
Ma lui ha l'asso nella manica che ti convince. Non molli davvero tutto. Te ne vai lontano, ma al tuo posto rimane una tua copia perfetta, che ha una copia della tua memoria, che é convinta di essere te. Un clone, una copia di carne, un duplicato, fate voi.
E così tu vai lontano, ma nessuno soffre, perché nessuno si accorge che non sei tu. Nemmeno lui/io se ne accorge.

La tua copia continua da dove tu hai lasciato: continua il tuo lavoro, si prende carico dei tuoi doveri, sei tu ad ogni effetto. Il cambiamento é avvenuto, forse un anno fa', forse molto prima.

Il problema é che é un bidone. La tua copia é fallata, si consuma nel modo sbagliato, si guasta, ti abbandona in piena autostrada. Perde i capelli, la memoria e l'equilibrio. E da un giorno all'altro non puoi più fare nulla.
Sei una copia di scarsa qualità, e non puoi che assistere inerme alle varie parti che si consumano. Quella "copia perfetta" é solo un rottame, che devi tenere insieme con forza, per impedire che perda pezzi per strada.
L'altro te non ne saprà nulla. Di te non gli interessa, non ti segue, non ti chiede l'amicizia su facebook, sei la sua metà nera, quella di cui vergognarsi. Quella che ti ricorda cosa eri una volta.

"Ma.., ci credi per davvero?"
Dipende.
É più facile credere alla nuda realtà, o seguire elaborate teorie, anche se al limite dell'assurdo? Le seconde almeno ti lasciano una flebile speranza che ci sia una logica, una spiegazione, anche fantastica, che dimostri causa ed effetto in ogni azione, anche in quelle spiacevoli. Sembra assurdo? Dite davvero? 
Eppure molti credono alle scie chimiche, responsabili di tutte le malattie. Quanti sono convinti che le vaccinazioni ci avvelenino, o che tutte le case farmaceutiche complottano per ucciderci? Convinti che  se mangerai vegano vivrai più a lungo, e che l'olio di palma sia peggio dei grassi idrogenati. Che dei terroristi non possano distruggere liberamente dei grattaceli, e dei pazzi sparare per strada, se non per qualche complotto ordito dai servizi segreti.
Quindi che problema c'è se io sostengo di essere una copia fallata? Cosa la distingue dalle vostre certezze?
Perché guardate che l'alternativa é rendersi conto che siamo tutti pedine del caso, io, me stesso e voi.
Che le nostre azioni e i successivi eventi non seguono alcuno schema. Che io mi posso ammalare, altri possono morire, entrambe le cose accadranno senza un motivo. Senza conseguenza di una cattiva azione o comportamento, solo per una semplice e bastarda combinazione del caso. Esattamente come la lotteria che non vincete mai. Casualità allo stadio puro.

E capire di essere pedine del caso, senza diritto di scelta o libero arbritrio non é davvero bello. É freddo, banale, senza un perché. E un perché ci deve essere sempre.
Per continuare ad avere una speranza, una certezza indistruttibile: tutto accade per un motivo, non siamo solo delle molecole di carbonio che si oppongono all'entropia.
Se un motivo non c'é o per quanto ci pensiamo non lo troviamo, possiamo sempre inventarcelo.

Forse potrà sembrarvi assurdo, inverosimile, idiota, o pura fantascienza.
Ma personalmente l'ho trovato molto creativo.

giovedì 22 ottobre 2015

Le voci invisibili


Pensano che non le senti, forse solo perché ormai sei dietro l'angolo, oppure sei passato davanti a loro da poco, nei tuoi lenti giri dell'ospedale e ora dai loro di spalle.

"Povero putél..", "Quanto el me fa pena, pover fiól...", "Vardilo come se trassina, povvero...". 
Sedute sulle loro carrozzine, parcheggiate nell'atrio, davanti alla vetrata che da' sul cortile. Normalmente chiacchierano, raramente della stessa cosa. Talvolta sono distratte da quello che vedono dalla finestra, o discutono del tempo.
In ogni momento può arrivare una distrazione, qualcosa che focalizza i loro commenti. A volte é l'infermiere che fa il giro delle medicine, e talvolta invece questa distrazione sei tu.
Non puoi farci nulla, le senti e basta. Se nessuno sta gridando in quel preciso momento, c'è solo il silenzio, e i bisbigli sottovoce li senti comunque, anche se non ascoltavi.
"Te pensi de star mal, e poi te viodi chil sta pezo de ti...", "Cosí zovine, poverino...", "Pover'omo..."
A dire il vero non bisbigliano. Parlano e basta, convinte che da 10 metri non le senti, e allo stesso modo se rivolgi loro la schiena. Apprezzi che ti diano del giovane, che ti chiamino ragazzo, con i tuoi 51 anni e i capelli sale e pepe. 
Apprezzi di meno che ti compatiscano. Ma d'altronde ti muovi con la stampella, più spesso col deambulatore, talvolta vai spedito e altre ti trascini, e i "buongiorno" che dici ogni mattina vengono fuori ormai impastati, in una voce estranea e quasi incomprensibile che non riconosci come tua.

Chiamatele come volete: comari, vecie, babe de piasa, non é importante una definizione. É un'ospedale, é naturale accada. Non c'é cattiveria, ma solo ingenua sincerità, oltre ad una buona dose di "ciacola", immancabile in questa parte dimenticata d'Italia. Se fossero solo un filo piú discrete lo gradiresti: stai cercando di essere ottimista, di vedere il bicchiere pieno, di uscire dal tunnel, dalla palude di melma, in cui ti sei sentito trascinato in questi ultimi mesi, tuo malgrado. E tutte quelle definizioni che senti bisbigliare ti ricordano perché sei qui, vogliono trattenerti, come tu fossi una cosa loro, esclusiva e privata.
"Non riesso a vardár...", 
Ma insisti, e sopporti. In stanza leggi un libro, ascolti un podcast, e cerchi di tenere la mente impegnata. É impegnativo cercare di non cadere nello sconforto; nel bianco silenzio della stanza puoi esaminare la tua situazione, pensare a tutte le scelte che hai fatto negli ultimi 10 anni, tutte sbagliate tuo malgrado, perché non hai colpe se sei finito in questo vicolo cieco. Ovvio che finisci anche ripensare alle tante cose rimandate in passato, che ora non sai se potrai mai fare. Sei moderatamente incavolato, insomma, e mi dicono essere normale. Anzi, potrei esserlo di piú.
Per cui, care signore, alla fine preferisco che continuate a ciacolare, discutere, cantare, e a compatire quel povero " ragazzo": un po' gli gireranno le palle, è vero, peró lo aiutate a distrarsi.
"Che costanza ch'el ga!", "Vai, ch'el garirà presto!", "Fal ben a caminàr, se il se arende se finía! Brau!"
E poi in fondo, vi vuole bene. Perché spesso fate anche il tifo.
E un po' di sostegno del pubblico é sempre gradito, nella grande commedia della vita. Non ne vorremmo un po' tutti noi?

domenica 27 settembre 2015

Gli innocenti

Pippo fa' un errore, ma non lo ammette. "É colpa di Pappo che non mi ha corretto in tempo".
Nino prende un brutto voto in matematica. "É colpa della maestra che non ha spiegato bene." risponde a mamma, che gli chiede le ragioni.
Gina e Nina litigano mentre sono ad una Fiera gastronomica, e Gina tira il bicchiere (di plastica) di birra contro Nina, che si sposta, e il bicchiere finisce contro un altro signore. Di chi é la colpa? "Di Nina che si é spostata!" grida Gina.
Mick scrive una storia brutta, scontata, prevedibile, i lettori si lamentano, le vendite calano, per Mick la colpa é dei lettori che hanno gusti difficili. E della Playstation, ovviamente.
Un fumetto viene stampato in un numero di coppie ridicolo, e se vende poco é colpa delle edicole. Se non si trova in giro non prendetevela col distributore che non distribuisce, la colpa é del fumetto che interessa poco. 
Pino dirige un film comico che non fa' ridere. La colpa é dei blockbuster americani che ci sottraggono il pubblico. Mara gira in bicicletta alla sera, senza luci, vestita di nero, in una strada buia in una notte senza luna, e per un pelo non viene travolta da un'auto. "É colpa del guidatore dell'auto che doveva stare più attento." la stessa cosa la pensa Mino, anche lui in bicicletta, che  ha voltato a sinistra senza segnalare col braccio, ed ha ottenuto una frenata di un'auto che lo seguiva, che stava per travolgerlo.
Rina ha preso un brutto voto, e pensa che si ingiusto riceverlo solo perché non ha studiato. La colpa é dei genitori, che la stressano e le impediscono di concentrarsi.
Bobo si arrabbia col disegnatore che gli ha ritoccato i disegni poco prima di andare in stampa, non con se stesso che ha disegnato tutte le ombre sbagliate.

Nessuno é più colpevole. La colpa é sempre di qualcun altro. Eppure un giorno lo vorrei davvero trovarne uno, di colpevole. Qualcuno che abbia il coraggio di dire "É colpa mia, scusate". Solo a me lo hanno insegnato? Ma la scuola, i genitori, i nonni, non i hanno mai insegnato ad essere sinceri, sempre?

Bé, ma in fondo perché avrebbero dovuto farlo?
Mi guardo intorno, e capisco subito...
I cattivi maestri che hanno imperversato su stampa e televisione negli ultimi 20 anni non vi hanno insegnato nulla? All'universo e alle folle non piacciono i perdenti, per cui guai a esserlo. E pare che qui abbiano imparato bene.
Cosa possiamo io, noi e voi, se contro abbiamo la televisione, la stampa, le fiction, piene di giustificazioni che noi tutti dobbiamo accettare, per quanto improponibili?

Il politico non fa' quello che promette, ma la colpa é dei ministri che glielo impediscono. L'industriale non ha corrotto il politico, lo ha solo aiutato economicamente nel momento in cui, cambiando schieramento politico, avrebbe potuto trovarsi in difficoltà. Se regalo un appartamento a quella donna non é perché sia la mia amante, ma la sto solo aiutando in questo momento difficile. Io non dico bugie, é lei che ce l'ha con me. Non é che non vado in parlamento, mi ammazzo di lavoro nel mio studio.
E a livello locale? Se paghi per un'abbonamento ADSL che ti viene garantito ultra veloce e non lo è, la colpa è dei vecchi cavi del tuo quartiere, non del gestore che prometteva mari e monti senza aver prima controllato dove abitavi. Se quella fabbrica va male é colpa degli operai, non del prodotto scarso che si realizzava. Se un'azienda di modellini che andava bene viene venduta ai cinesi, non é colpa dei nuovi dirigenti, ma della recessione del mercato. Se la ristrutturazione della piazza centrale della città é venuta male, ci ha messo troppo tempo a essere finita, e ora cade a pezzi, la colpa é dell'amministrazione precedente, non di questa che non ha fatto nulla mentre i lavori proseguivano ed ha inaugurato il tutto in gran pompa durante la  sua amministrazione.
Se il fiume esce dal suo corso naturale é colpa della pioggia (che cade da milioni di anni) e non di chi ha imbottigliato quel fiume costruendogli attorno tutto il possibile negli ultimi 50 anni.

Ecco. Ormai, ormai ho capito che non serve lamentarmi col mio prossimo. Non ha fatto che seguire l'esempio dei cattivi maestri intorno a lui, che hanno finalmente donato al mondo una generazione di perfetti, tutti sempre e solo innocenti.
Il primo che trova un colpevole faccia un fischio, mi raccomando.

venerdì 18 settembre 2015

Discutibili oggetti e cattivi soggetti

Ma alla fine, poi, ha davvero importanza? Fare un'affermazione, e poi spendere cento e piú parole per confutarla, far valere le proprie opinioni, spiegare il perché e il percome?
A qualcuno importa sul serio? C'é davvero qualcuno intenzionato a leggere tutto, a entrare nel ragionamento di un altro e capire quel punto di vista alieno e, se è il caso, dare ragione? Esiste? O le risposte piuttosto non suoneranno più come "No, ti sbagli, perché...", "Io invece penso che...", oppure "Sí' ma però...", e frasi simili.
La gente, o meglio sarebbe dire noi tutti, non passiamo da sempre una parte del nostro tempo libero a esternare pensieri e opinioni, a ribattere, nella sicura convinzione di avere ragione, che la nostra idea sia quella giusta, perfetta, semplice? 
Inizi da piccolo, poi cresci e nel frattempo ti confronti con altri pensieri, e continui così, da lì in poi per sempre, parlando di calcio, politica, cucina, salute, lavoro o teoria del complotto o di fumetti. Prima a voce, e poi sei passato alle discussioni telematiche, sui forum, mailig list, e oggi twitter e Facebook. O guardando e ascoltano altri discutere. Siamo sommersi da un'oceano di opinioni. Avviene continuamente, alla TV o alla radio, migliaia di pensieri e opinioni contrapposte, che a nostra volta controbattiamo, confrontandole con il nostro punto di vista, che il soggetto sia Sanremo, Star Trek, il Grande Fratello, l'ultimo film di Tarantino o la nazionale di calcio. Non é forse vero? 
Si evolvono gli strumenti, ma facciamo sempre le stesse cose: discutiamo, che sia in maniera garbata oppure violenta, dedichiamo ore, giorni e settimane della nostra vita vissuta a questa interessante ma scomoda pratica. Senza imparare nulla? E serve davvero? 
Tanto piú che ogni tanto trovi sempre chi, per confutare il proprio ragionamento, riesce a sostenere ancora che i propri fatti siano "oggettivi" e non contestabili. Puoi accettare ogni discussione, ma se butti giú la carta del "i miei sono fatti oggettivi", no, sorry amico mio, ma non ci siamo proprio; in quale mondo vivi, dimmi. Ti stai guardando intorno? Lo osservi davvero questo nostro mondo?
Esiste ancora qualcosa che si possa definire oggettivo? Gli storici revisionano eventi del passato, rivoltano motivazioni, i critici cinematografici rivalutano film smemorati del passato, le religioni vengono discusse, e cosí la medicina e la scienza; fatti, opere e opinioni che ormai consideravamo intoccabili scolpiti nella memoria del tempo? Noooo, nuove regole dei nostri tempi.
La nostra realtà é davvero diventata così, tutto d'un tratto... semplicemente soggettiva?
Quindi, quando ti viene voglia di discutere, dimmi... ti domandi mai se ne vale davvero la pena? Se quell'argomento richieda davvero anche la tua opinione? Se il mondo cambierà in qualche modo per il tuo intervento? O é solo un'azione per dimostrare che esisti anche tu?

Un giorno puó capitare che improvvisamente tu non ne hai più tutta questa voglia. Intorno a te il mondo intero discute fatti ed opinioni, e forse esisterà qualcuno che ascolti davvero. Ma tu non hai voglia di controbattere su argomenti che non ti interessano o a cui tieni troppo. Vuoi convincere qualcuno? E poi? Lui riuscirà a convincere te, se usa solo il suo personalissimo metro di giudizio? Se usa logica e razionalità forse sí, se usa solo la passione decisamente no.
Usa tutto quel tempo per fare altro. Non hai che l'imbarazzo della scelta. Ci saranno le eccezioni, quelle si, ma i mulini a vento... quelli lasciali perdere.

E se poi penso che questo pezzo é venuto fuori solo perché mi era venuta la folle idea di spiegare perché non riesce proprio a piacermi Star Trek Voyager... Temo, per vostra somma fortuna, che rimarrà un silenzioso soliloquio tra io, me stesso e me. 
Almeno tra tutti e tre c'é la concreta possibilità che potremmo essere d'accordo.

martedì 8 settembre 2015

Nella città dolente

Maria é una signora bloccata nel suo letto. E non ha il pieno controllo di quello che dice e porta il pannolone. In ogni momento in cui non dorme chiama dei nomi, probabilmente parenti stretti, come se fossero nella stanza di fianco. Il tono passa dall'implorazione al fastidio, come se qualcuno di loro le facesse il dispetto di non sentirla.
Mario ha quasi cent'anni. Non fa terapia, camminava traballante fino a poco fa, ma poi é caduto e da allora gli hanno proibito di uscire dalla stanza se non accompagnato. Se ti fermi a chiacchierare si limita a poche parole gentili, e a raccontare qualcosa della sua gioventù, e della guerra. Fino a poco tempo fa aveva un compagno di stanza con cui parlava e giocava a briscola, ma poi l'altro é tornato a casa, e ora divide la stanza con un signore silenzioso. E intravedere dalla porta questi due estranei che non interagiscono in alcun modo é un po' straziante.
Maria é una signora bene che gira con un stampella. Ha molte visite, e in camera ha una tv ed una radio col volume troppo alto. Forse é lei che ha una sveglia che ha suonato una notte, svegliando il vicino della stanza accanto ma non lei. Ma i suoi visitatori non riportavano mai in biblioteca le sedie spostate, e la su camera sembrava davvero piú un mobilificio di Manzano.
Mario é un signore convalescente per un brutta frattura ed un voce da baritono. Ha un cellulare con suonerie personalizzate, e quando lo usa non parla, ma grida. Parla dei fatti suoi, ignaro che nel raggio di venti metri lo senta chiunque: e dalla suoneria sai se parla con l'avvocato, se raccomanda alla moglie, o se discute i problemi di quel progetto di lavoro col socio. E il volume del telefono é così alto che pure con una parete di mezzo puoi sentire il suono della voce dell'interlocutore.
Maria ha un'eta in cui non t'importa più contare gli anni, ed é arrabbiata col mondo intero. Borbotta continuamente, filosofeggia unendo luoghi comuni classici e nichilismo, e tratta male gli infermieri. Bestemmia talvolta, distribuisce epiteti dialettali come "chel mona, chel coion, semo merde, spusemo, che vita de schifo" e non risponde ai quotidiani buongiorno di Mario, che li ripete ogni mattina, quando la incrocia la prima volta. Talvolta teme che i ladri entrino di notte in camera sua, forzando le porte dell'ospedale, e alle 21 non vuole andare a dormire, ed é convinta che quella signora sulla carrozzina che la fissa con lo sguardo vuoto sia lo sguardo del diavolo, e potrebbe volerla uccidere di notte. E talvolta la senti lontana lamentarsi del mondo, mentre aspetta che arrivi il sonno.
Maria é sicura di avere visto uno scarafaggio in camera. No, non si é confusa, sa benissimo distinguere un insetto da una cartaccia, cosí come ha visto benissimo quel grosso topo peloso attraversare l'atrio un istante fa, proprio sotto il naso di tutti, ma come avete fatto voi a non vederlo??
Mario vuole uscire. Ci prova tutto il giorno. Chiede a tutti dove sia la porta, e quando riesce a raggiungerla con la carrozzina inizia a batterci sopra, chiamando e gridando disperato. Il giorno dopo la ricerca ricomincia. Ma se incrocia qualcuno in corridoio, si sposta e lo lascia passare, e puoi vedere che nel farlo ti sorride.
Mario é un simpatico anziano con una gran voglia di chiacchierare con tutti. É ricoverato per un controllo, ma in realtà é parcheggiato per un paio di settimane per dar tempo ai parenti che lo assistono tutti i giorni di respirare.
Maria é ugualmente anziana ed ha una carrozzina. Fa lunghi giri per i corridoi e dice sempre una buona parola agli altri degenti quando li incrocia durante il giorno. C'è un portaombrelli vicino all'ingresso, e qualcuno gli ha scritto di fianco con un pennarello il suo vero uso, perché altrimenti lo prendono per un grosso cesto delle immondizie di qualche bizzarro e futuristico design. La signora lo fa notare al signore grande e grosso in carrozza, col sacchetto delle urine appeso dietro allo schienale, che vi ha appena gettato il bicchiere di plastica vuoto, perché troppo pigro di raggiungere un altro cestino, che come risposta solleva le spalle a quell'interferenza irrilevante.
Mario non parla molto, legge e dorme. Ma quando passa la moglie a trovarlo si lamenta che aveva la febbre e nessuno l'ha aiutato, e si considera vittima della malsanità. Non pensa minimamente che ha a disposizione un allarme per chiamare gli infermieri, ed é pure gratis.

Maria fissa il vuoto. Quando le muove, le sue mani piegano e ripiegano una maglietta troppo spiegazzata, quasi come stesse cercando la madre di tutte le pieghe. É indifferente a ciò che accade intorno a lei, agli infermieri che la mattina la sistemano col paranco sulla sua carrozzina e l'accompagnano nel salottino di fronte alla vetrata. Forse é quella che sta meglio, perché non pensa nemmeno ai suoi problemi, ed ha già raggiunto in maniera naturale quell'oblio che tanti poeti maledetti del passato cercavano con la chimica.

Mario é ricoverato per una rara malattia neurologica. Si sente un pesce fuor d'acqua con i suoi cinquanta anni, in mezzo a tanti anziani veri, mentre si appoggia alla sua stampella cercando l'equilibrio perduto da tempo, ma quando intorno a lui lo indicano come "il ragazzo", in fondo é contento. Sul comodino ha una Monster High sbarazzina che tutti scambiano per una Barbie, un barattolo di Nutella sul tavolo e fotocopie di suoi disegni appesi alle pareti, perché dopo la decima persona che gli ha detto "Ah, fai fumetti? Anche mio figlio si diverte" ha pensato che faceva prima a mostrare che lui lo faceva per lavoro, anziché limitarsi a ripeterlo. Gli infermieri che lo hanno preso in simpatia e gli chiedono disegni, e lui é un po' in imbarazzo a spiegare che con quella mano destra quasi bloccata che si ritrova é già tanto se riesce a reggere una matita, figurarsi disegnare una curva. Ha la speranza di recuperare ma la ferrea logica che non v'é nessuna certezza, se non nel suo forzato ottimismo, e mentre continua la sua fisioterapia, ci si aggrappa come un naufrago del Titanic.

Col timore, mai sopito, che un'ondata di riflusso lo riporti al largo. 

Che Crom e Bélit lo abbiano di riguardo, mi raccomando.

domenica 30 agosto 2015

I dimenticati

Cartoomics. Oppure Lucca. O era il Comicon? Forse che era invece l'unica edizione di FirenzeComics? Il luogo non ha una vera importanza, in fondo la stessa scena, con piccoli dettagli che mutano, è accaduta in ogni posto in cui sia stato. La dimostrazione che nulla si inventa, nemmeno nel libero arbitrio, è che certe cose accadono sempre, che tu lo voglia  no. Sai che sono già accadute, e sai altrettanto bene che si verificheranno ancora.
L'evento, appunto. Sei a questa fiera di fumetti. Entri nel salone pieno di banconi, fumetti, gadgets e appassionati. Sei in compagnia di un amico, uno sceneggiatore o un disegnatore come te, il soggetto è diverso ogni volta. Parlate di qualcosa che vi tiene concentrati, della vita, l'universo o Jijè, quando incrociate Tizio, che saluta con enfasi l'amico.
"Ciao come stai?". E inizia una rapida conversazione a due, a cui tu assisti. "Hai saputo di Pippo Pippi? E di Coso sai nulla? Mi diceva cos'Altro che bisogna chiedere a Caio quella cosa cosabile, bla bla bla". Ciò che dice non ha importanza. Il discorso è ogni volta differente.
Ma il finale è uguale. L'amico e Tizio si salutano, Tizio si allontana, tu e l'amico continuate il vostro percorso in messo alla folla, riprendendo il filo del discorso interrotto prima.
"Chi era? Pare che ti conoscesse bene." chiedi tu.
"Bho, sai non ne ho la più pallida idea!" Risponde l'altro.

A volte invece sei tu. Ti salutano, tu ricordi vagamente la faccia, se sei fortunato. Se non lo sei non ricordi proprio. Saluti, perché sì, chiedi come va, ma hai mille dubbi sull'identità di chi hai di fronte.

Le occasioni in cui l'hai conosciuto possono essere tante. Hai chiacchierato con lui in un'ascensore. Gli hai fatto un disegno. L'avevi di fronte ad un pranzo multiplo.
Il più delle volte hai la soluzione a portata di mano, che ti salva, salva la capra e i cavoli, e ti permette di evitare la figura di m**da che sei certi di stare per fare: il pass che portano appuntato sulla giacca.
"E dov'è mai un posto simile?" chiede il solito lettore interrogativo.
Ci pensi un attimo... Ups, é vero, alle fiere fumetto non si usa portarle appese, ma trovi rapidamente la risposta: Alle convention di StarTrek, per esempio... poi rammenti che anche loro da qualche anno si sono convertiti al collare, e al pass appeso. Lo sai. A casa hai una lunga fila di collarini e pass, che ti fissano e ti ricordano tutte le fiere che hai fatto, e tu ricordi benissimo che le volte che ti sei portato il collarino per evenienza te ne hanno dato comunque un'altro, e quando non l'hai portato hai dovuto comprarlo, perché non avevano previsto la spilla sul retro (e dovevi portarlo indosso sempre, vaffanbrodo).
E ricordi anche che ci furono anni in cui quel pass aveva il nome scritto in piccolo, e per quanto fu fingessi di chinarti per fare altro, non riuscivi sempre a leggere. Poi ingrandirono i nomi, e ti illudevi di essere in salvo... ma era già arrivato il momento del collarino. E da allora il pass è sempre girato dall'altra parte.
Anche se alle fiere di fumetti il pass ormai non lo porta quasi più nessuno. Si tiene in tasca, o rimane appeso alla giacca, e viene coperto da sciarpa, giacca o accessorio da cosplay. Lo tengono bello esposto, assicurandosi che si legga sempre, solo coloro che vogliono fortemente essere riconosciuti.

E quindi nulla ti salva dal non riconoscere il tuo interlocutore.
Ma lui si ricorda di te. Perché il più delle volte ti conosceva di fama, sapeva chi eri prima ancora di conoscerti, ti ha cercato, e il momento di quando ti ha incontrato non l'ha mai dimenticato. Ma tu sì. E ti vergogni di ammetterlo. Quante fiere hai fatto? Quante firme alla stampa Bonelli, quanti disegni fatti in 10 minuti o anche meno, per promozione, diletto o divertimento? Non ricordi nemmeno piú i disegni, come puoi ricordarti i destinatari?
Ma c'è di peggio. Avanti, questo è un post di scuse colossali, quindi dilla tutta, Jack.

Hai la coscienza sporca, e ne sei cosciente. Quanta gente ti ha contattato, via voce o mail, o facebook, chiedendoti di dare un'occhiata al loro lavoro. Anche solo per tre parole, ma anche due, e pure una sola, che lo avrebbe reso soddisfatto?
L'hai fatto? Il più delle volte no. Preso dai tuoi pensieri, o dalle scadenze o dalle minacce di Vega, hai rimandato a dopo, a domani, a più avanti. E nel frattempo quell'avverbio di tempo è diventato complemento indiretto: da domani a mai. E tra le volte che l'hai ricordato, un paio di volte hai pure finto di scordartene, perché non avevi il coraggio di rispondere che ti sembravano brutti e senza speranza.
Hai mai dedicato un pensiero al tuo interlocutore scordato, a cosa avrà pensato al riguardo? Avrá capito (speri), ma più probabilmente ti avrà riempito di maledizioni (temi), rivolgendosi al successivo disegnatore della sua lista.
Eppure non ti chiedono tanto. Quanto sono preziosi per te 5 minuti del tuo tempo? Lo sai che il tempo è soggettivo? Quei 5 minuti che per te sono un attimo, per loro rappresentano un'evento. Perché tu interagisci con loro, guardi ciò di cui sono capaci. E vorrebbero che gli dici quelle due parole di cui hanno bisogno.E io? Mi ripeto che lo farò, che ognuno si merita che gli si presti attenzione, che chi sta al di qua di quella linea possa dedicargli un paio di minuti. E poi me ne dimentico. Ma non lo faccio senza rimorso, sappiatelo. Quando me lo ricordo é sempre un colpo. Ma la vita ti riempie di immagini, impulsi, voci e suoni, odori e pensieri. E la tua mente, se é concentrata su un pensiero, non si accorge che intorno a te il mondo continua a girare. Sono colpevole, ammetto questa mio limite.

Quindi, se dopo tutto questo, vi sentite dalla parte dei dimenticati, non abbiatene troppo a male. Sono cose che purtroppo succedono. Mettiamola cosí, tutti ci dimentichiamo di qualcuno, e qualcun altro allo stesso modo dimentica noi.
"Ecco, in quel caso anche tu sapresti come ci si sente" pensate, se vi riconoscete nella categoria e siete molto permalosi.
Tranquilli, a dire il vero lo so già da molto. Ci facciamo compagnia da tempo: non siete mica gli unici dimenticati da qualcuno.

lunedì 24 agosto 2015

Obbiettivi secondari

All'inizio non te ne sei nemmeno reso conto. Ma eri giustificato. Avevi altro in testa, altri pensieri, assillanti. Che ti rimbalzavano in testa, non ti facevano dormire, ti portavano cattivi pensieri. Potevano essere diversi, ma avevano tutti una costante: nuocevano alla tua autostima, finivano per essere denigratori. Tu contro te stesso. Tu, che avendo fallito quell'obbiettivo 
importante, evidentemente valevi meno di zero, e la merda ti circondava, e non ti meritavi nulla di valido in questo mondo. Alla fine eri solo un asteroide perduto oltre l'orbita di Plutone, dimenticato dal sole e dalla sonda Voyager.
Oh, lo sapete bene. Non lo avete provato pure voi, in un qualsiasi giorno nero della vostra esistenza? Mai gridato la vostra rabbia al mondo, trattato ogni vostro prossimo come stupido e insensibile, perché non capiva il vostro dolore? Mai sentiti davvero piccoli piccoli? Magari non tutto questo, non tutto assieme magari, ma in maniera differente. 
Succede ogni volta che qualcosa non va come desiderate. Ogni volta che si fallisce un obbiettivo primario. 
Lo so, c'è una regola che ci insegna ad essere sempre positivi, ottimisti, a credere nei valori di Pollyanna. Che se lo sei, ti accadranno solo cose belle. 
Si, è bello e utile crederci... Ma se non hai il controllo di tutti gli elementi, qualcosa potrà sempre andare storto. E la cosa potrebbe (ma anche no) NON dipendere da te o da una tua azione.
Ormai sono anni che, grazie anche ad una particolare cecità della Dea bendata nei miei confronti, ormai seguo una regola di vita che mi sono inventato tempo fa. Regola che stabilisce che nel corso della nostra esistenza, ci sono due tipi di obbiettivi che dobbiamo affrontare: primari e secondari.
Primari sono tutti coloro che non dipendono solo da te: gli affetti, un lavoro, una malattia improvvisa, perdere una persona cara, ogni cosa in cui devi interagire anche con altre persone, o col fato...

Gli obbiettivi secondari sono solo per te. Sono le piccole vittorie che puoi conseguire tu, da solo. Dove solo a te ed alla tua volontà dipende la riuscita o no. 
C'é poi una ulteriore differenza sui due obbiettivi. 

I primi sono importanti. Maledettamente importanti.
I secondi no; servono solo al tuo morale. Ed a nient'altro.

Ma quando fallisci coi primi, i secondi ti aiutano ad andare avanti. Servono a dimostrarti che non sei un incapace, un freak disadattato, o il bersaglio preferito della sfiga. Ti fanno respirare. Ti danno sicurezza. Dimmi, ti pare poco?
Ma possono esser stupidi. Anzi, il più delle volte lo sono proprio. Obbiettivi inutili ai più, forse ridicoli, ma vitali. Solo per te.

Gli obbiettivi secondari sono ragionevoli, nel senso che puoi raggiungerli senza troppa difficoltà, ma comunque con grande impegno. Sei tu stesso che decidi quali sono, e i modi nei quali ottenerli: completare la serie integrale di Jeff Hawke; riuscire a preparare delle buone crepés; andare un giorno a Tarvisio, perché sì; fare un lungo giro della tua città, a piedi, facendo strade inusuali, o assistere ad un concerto dei Baustelle, usando tutti i tuoi sensi. O completare la collezione di Miaoegizi.
Quando li raggiungi é come una vittoria: una piccola, insignificante vittoria, che non servirà a nulla. Se non a farti sentire ancora capace di ottenere qualcosa.

E prima che possiate dire "hai scoperto l'acqua calda", so benissimo che é solo una evoluzione del vecchio "OK, let's shopping!" femminile. "sei giù? Comprati qualcosa di carino!". Il mio é: ti va tutto storto? Fai qualcosa che ti faccia stare bene, purché per far ciò tu non reca danno ad alcuna creatura vivente (prendere a sassate gatti e uccellini et similia NON è contemplato).
Domanda: e se non ho interesse in nulla? Se non mi vien voglia di fare nulla?
Pazienza. Forse funzionano solo per me, cosa posso dirti? Oppure fai uno sforzo. Trovalo. Ciò che interessa Nino può essere qualcosa di differente per Gino.
Come ho scritto sopra, gli obbiettivi secondari sono personali e non necessariamente condivisibili da alcuno. A Pino sembrerà inutile che tu ti impegni a costruirti con l'aiuto di colla e forbicine proprio QUEL papermodel, o che tu costruisca uno scaffale da parete per i gashopon. Ma dovrà essere qualcosa che tocchi, senti, respiri. Niente film o videogiochi, niente ricordi o input esclusivamente visuali o sonori, ma materiali: che puoi toccare, assaggiare, sentirne l'odore.
Ma é importante. Lo capirai quando quell'obbiettivo lo avrai raggiunto, e sentirai la differenza: 1 a 0, palla al centro.
In questo momento, per esempio, di fronte all'ennesima tegola che cade in testa (e fa male, ahia!), ho solo l'imbarazzo della scelta per trovare nuovi obbiettivi secondari da completare.

In questo modo la prossima volta che dovrai affrontare un eventuale nuovo obbiettivo primario... almeno sarai di buon umore. E tutto il resto a seguire. Perché prima o poi te li troverai di nuovo di fronte, quei benedetti primari.
Dovrai affrontarli, così come lo faranno anche Pino e Gino. Perché questi obbiettivi prima o poi li devi raggiungere.
Perché questi sono quelli davvero importanti.